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88 | Cuore infermo |
— Non saresti tu ammalata, per caso, amor mio?
— Io ammalata? — riprese ella vivamente, quasi la supposizione la offendesse. — Non sono ammalata. Mi sento bene; sto benissimo, io.
E si alzò come di scatto, per provare la sua forza ed il suo benessere, liberandosi del mantello che andò a buttare sopra una sedia. Rimase come era vestita pel ballo; ma nella luce modesta di una sola lampada, il giallo ed il roseo del vestito si appannavano dolcemente. Pure a Marcello riapparve come la visione abbagliante della sera; si alzò e la raggiunse.
— Beatrice.... — le mormorò nell’orecchio.
— Ebbene? — rispose ella, voltandosi senza guardarlo, contando le pietre del suo diadema che aveva tolto dal capo.
— Nulla — fece lui, e la parola gli fischiò fra i denti, mentre si allontanava bruscamente.
Beatrice tornò a sedersi all’angolo del divano. Ora schiudeva il fermaglio del suo monile. Marcello le si accostò di nuovo e d’un tratto:
— Almeno volessi tu dirmi perchè non mi ami, Beatrice! — esclamò con violenza.
— Ma io t’amo, Marcello — e alzò la testa, guardandolo con sorpresa.
— Senti, Beatrice, senti — rispose egli con voce affannosa: — se tu mi amassi, la nostra vita sarebbe diversa. Noi potremmo essere felici. Siamo ancora giovani; la gioventù è bella e potente; è suo il gaio sole, è sua la ricca natura, sua la gioia, sua la speranza, sua la balda sicurezza dell’avvenire. Il sogno più ardito non pare ad essa impossibile. Ma senz’amore la gioventù si scolora, s’illanguidisce, ed il lento corso dei suoi anni rassomiglia troppo a quello della vecchiaia....
— Io t’amo, Marcello.