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Parte seconda | 85 |
del cinquecento, madonna Beatrice Sangiorgio-Revertera; allora da capo tutto l’abito della duchessa pareva una fiamma, i rubini e i topazi le circondavano il capo ed il collo di luce biondo-rosea, lo strascico volava, si avvolgeva, si svolgeva scintillando come la coda di una cometa, e Marcello provava di nuovo la medesima impressione, si turbava, il suo pallore si accresceva, gli battevano le palpebre. Si sentiva per un momento quasi abbruciato da quella visione. Provava il bruciore negli occhi, sulle labbra, nel petto, nel cervello, dentro sé stesso. Quel valtzer non finiva mai, la dama tornava a passare, ed egli attratto, fascinato, sospirava vedendola scomparire, rimpiangendo il suo tormento, anelando di vederla riapparire, per avere un altro abbagliamento, per sentirsi consumare in quello splendore. D’un tratto il movimento cessò come per incanto: il valtzer era finito. Le signore ora passeggiavano lentamente per la sala, al braccio del cavaliere, cercando un posto per sedere. La dama si era perduta, era partita per le regioni ignote, Marcello non la vedeva più. Si alzò e si appoggiò allo stipite del balcone per potere scorgere tutta la sala.
— Che fate qui, bel cavaliere? — gli chiese una merveilleuse, Fanny Aldemoresco, addolcendo la pronuncia del suo erre. — Vi annoiate mortalmente, n’è vero?
— Non più del solito — rispose Marcello, abbozzando un sorriso.
— Con la marsina, non avete deposto la vostra aria di sognatore, Sangiorgio. Orsù, a un ligio cavaliero altro si conviene. Non sognavano tanto, mi pare, quelli del cinquecento. Si divertivano, vivevano bene, amavano molto.
— E questo io fo. Pocanzi guardavo la mia dama a ballare.
— Sareste voi geloso, Sangiorgio? — domandò Fanny, gittandogli uno sguardo scrutatore.