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Parte seconda | 83 |
cadere la domanda fatta con tono aspro. Egli si sentì colpito da quella fredda occhiata. Spesso, in presenza di lei, non sapeva padroneggiare le sue parole; ma la ferita che egli voleva produrre si apriva dapprima nel suo cuore, e tutta l’amarezza che versava in quello che diceva, aumentava la propria amarezza. In un istante passava da un eccesso di irritazione a un eccesso di tenerezza.
— Pensavo — disse Beatrice — come usavano camminare insieme i cavalieri e le dame del cinquecento. Entreremo noi nella sala, dandomi tu il braccio o la mano? Avremmo dovuto accertarci di questo.
— La mano, madonna, anzi solamente la punta delle dita. Concederete voi tanto onore al vostro cavaliere?
— Certo. Anzi non devi tu ballare con me la quadriglia d’onore?
— Saremo ridicoli, ve lo assicuro, duchessa — disse Marcello, stringendo i denti per collera.
— E perchè? — chiese Beatrice con aria ingenua.
— Nulla, nulla — rispose egli, reprimendosi. — È ora di andare.
L’orchestra invisibile sbuffava nei lieti scoppi di un valtzer tedesco, il Bel Danubio azzurro di Strauss; le coppie passavano velocemente, ma senza troppo affrettarsi, essendo moltissime; sul tappeto morbido si soffocava, si spegneva il rumore dei passi leggieri: solo le coppie portavano seco, erano portate in una corrente d’aria vorticosa; solo il fruscìo degli strascichi, un fruscìo breve e saettante, faceva vibrare i nervi di Marcello. Egli stava nel vano profondo di un balcone, un vano semi-oscuro, celato dalle cortine, celato da un grande trionfo di rami, foglie verdi e camelie. Sedeva lì