Pagina:Cuore infermo.djvu/8

8 Cuore infermo

Granili rifulgeva, quasi arroventata, nei mattoni rossi della sua facciata; tutte le ville di Portici, bianche, rosee, gialle, brune, erano quiete, silenziose, chiuse le finestre, abbassati i trasparenti di tela dipinta, per attenuare quell’ambiente infuocato. Dalla estrema punta di Napoli, inondata, affogata con le sue case in un oceano di luce, sino al nero promontorio di Capri, la natura fremeva in un impeto di vita moltiplicata ed acuta, si contorceva nel supremo spasimo di un amore cupo e disperato.

Poscia il tramonto era venuto a mettere qualche dolcezza in quella passione dell’estate, passione inflessibile e senza lagrime: impallidivano i colori vivaci e crudeli; una tinta cinerea e soave si diffondeva; qualche cosa di velato, di trasparente sorgeva dalla terra, cadeva dal cielo; un lieve soffio si alzava dal mare, che ridiventava in quell’ora e per tutta la notte la fonte della gioventù e della freschezza; nella unica e lunga strada di Portici, sul caldo selciato, trabalzava il carro dell’inaffiatore, sollevando un leggiero polverio ed una colonnina di fumo, accompagnato dal grato rumore dell’acqua che zampillava; l’edificio dei Granili si stingeva in un cremisi scarico, poi in un violetto tenero, quasi che una malinconia si mescolasse all’oltraggioso colore della sua facciata; qualche finestra si schiudeva; stridevano lievemente gli arganetti dei trasparenti, sollevati come il sipario dei piccoli teatri; qualche abito bianco compariva all’angolo di un viale; dietro una siepe, voci e grida di fanciulletti salivano al cielo, unendosi all’hop hop irregolare di una palla elastica che balzava; la vita estiva dei villeggianti napoletani, vita tutta esteriore, che dura dal tramonto del sole sino alle ore più avanzate della notte, si svolgeva dalle più larghe linee sino alle più piccole sfumature.