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66 | Cuore infermo |
marito le darà il braccio per le scale di casa sua, per le scale del palazzo dove si dà il ballo. Poi termina il suo compito: egli può, anzi deve restare, ma è libero di ballare, di giuocare, di passeggiare, di annoiarsi sino alle cinque del mattino, ora in cui i ballerini hanno la somma compiacenza di ridargli la duchessa. Egli se la porta a casa, ella si mette da capo nelle mani della cameriera, ed il giorno seguente si alza all’una, rosea e riposata, mentre egli fu forse tormentato dall’insonnia. I grandi balli nell’inverno a Parigi succedono ogni tre giorni.
Infine, dopo tutto questo, vi è ancora Parigi da vedere. Parigi la immensa, Parigi la multiforme, Parigi che alle centinaia di novità vecchie aggiunge in un giorno le centinaia di novità nuove, la città antica e la città moderna, la città bassa e la città alta, la parte di osservatore che vince spesso quella di attore, e quella di attore che prende la rivincita. La palazzina di via Helder non tratteneva per molte ore nelle sue mura i due sposi; era un continuo schiudersi e sbattersi di porte per lasciare uscire i padroni, che rientravano solo per un momento, per fuggirne via daccapo. Era seducente la camera nuziale in bianco e rosa pompadour, erano belli i salottini civettuoli, la stanza da pranzo in legno di quercia; ma la vita esteriore li vinceva, la grande vita annegava la piccola. Nella casa, nei mobili, nell’aria forse ci era qualche cosa di estraneo, di freddo, di indifferente, come di disabitato: quasi si comprendeva che gli ospiti erano di passaggio, frettolosi, in un’epoca di transizione, con le valigie aperte, pronti ad andarsene come erano venuti, senza attaccare un ricordo in un angolo qualunque. Come in tutte le case, per farsi amare dalla casa, per renderla viva, bisogna viverci ed amarla. Al postutto, quello che mancava lì dentro, era l’intimità;