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64 | Cuore infermo |
quelle rischiarate di cielo pallidamente azzurro, allora s’improvvisano le gite di tre o quattro giorni nei castelli delle vicinanze, dove una parigina diventata castellana fa gli onori del suo dominio ai cortesi invasori; si va a Versailles, alla Camera, dove ogni tanto quei buoni deputati concertano qualche grande rappresentazione, che faccia riempire di belle dame le tribune. Se l’inverno è rigido, allora viene in moda la contraffazione russa; pellicce dappertutto, slitte, pattini, partite di sdrucciolamento sul ghiaccio del laghetto al Bosco, mentre sulla riva si accendono grandi fuochi per riscaldare i freddolosi. Così fugge via la giornata.
Per la serata, è un altro affare. Quella lì dovrebbe essere lunghissima o almeno ce ne dovrebbero essere due per ogni giorno, a voler esaurire un programma molto complicato. Vi sono i teatri: anzitutto l’Opéra, dove bisogna assolutamente farsi vedere nei giorni consacrati, andando in un palco di proscenio, molto in vista, la signora perfettamente in luce, il marito discretamente immerso nella penombra, a sentire una musica abbastanza vecchia, cantata da artisti sfiatati, mentre gli occhialini delle poltrone di orchestra analizzano la duchessa in ogni lineamento, dalla fronte alle mani. Se non si vuol mostrare di non avere alcun gusto per le belle lettere, vi è la sera che si deve passare al Teatro francese per applaudire Got e Coquelin alle commedie del grande Molière, per veder morire la signorina Croizette nella Sfinge di Feuillet e per sentire come Sarah Bernhardt dice a Mounet-Sully, nell’Hernani: Vous êtes mon lion superbe et généreux! Poi la commedia nuova di Sardou al Gymnase, l’operetta di Offenbach o di Lecocq alla Renaissance, l’operetta ardita di parole, di musica e di gambe rivestite di maglia. E quando s’interrompe