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54 | Cuore infermo |
tratto si allungò nella sua seggiola con un sospiro di soddisfazione; nel buio aveva dovuto sorridere. Era contento: non si sa come, aveva trovato la mano di sua moglie. Una mano morbida, dalla epidermide rasata, non troppo calda, non troppo fredda, con un tepore diffuso ed eguale; una mano che portava nei suoi pori la sottile emanazione di vita fresca e giovane di una bella donna. Il mignolo, l’anulare e il medio erano pieni di anelli gemmati, come vuole la moda, una moda che dà alla mano della donna ricca qualche cosa di folgorante, di alato, ma che le impedisce di stringere quella dell’amante o dell’amico. Per poco Marcello si dilettò nella semplice consolazione di tenere placidamente quella mano nella sua; indi, per scuoterne l’inerzia, si mise a giocherellare intorno agli anelli, contandoli mentalmente, paragonando la durezza delle pietre preziose alla morbidezza della mano, la freddezza liscia delle fascette d’oro al calore temperato dell’epidermide. E con un capriccetto nuovo da innamorato, ebbe la folle idea di posare dei piccoli baci, proprio lì sulle dita affusolate, fra gl’interstizii degli anelli, staccandoli un poco con le labbra una pioggettina di baci piccini, quieti e fini fini. La bella mano non trasaliva, non tremava e neppure si sottraeva a quei baci; si abbandonava, si lasciava andare, si concedeva graziosamente, ma i baci non l’accaloravano, nè le davano un fremito.
— Tu sorridi di me, nevvero, Beatrice? — le chiese egli, dolente, ansioso della risposta.
— Ti assicuro che non sorrido, Marcello.
— Ed allora tu devi essere triste. Stolto che fui a non accorgermene! Tu sei triste, sicuro. Ti ho lasciata per troppo tempo sola, quest’oggi? Ti rincresce forse questo clima di Parigi, così diverso dal nostro? Il cielo bigio, il fango odioso della via, la luce sfacciata del