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50 | Cuore infermo |
a quel buio improvviso, egli che veniva dalla strada illuminata.
— Ti disturbo io forse? — mormorò poi con una dolcezza di accento, che faceva rassomigliare le sue parole ad un soffio caldo e carezzevole.
— Tu non mi disturbi mai, Marcello — rispose la moglie, con l’armonia monotona della sua voce.
Egli represse un piccolo movimento nervoso delle mani. Ora, con gli occhi che si erano poco a poco assuefatti all’oscurità, Marcello distingueva Beatrice. Sedeva molto vicino a lui, sdraiata in una poltroncina, col viso rivolto al fuoco; la veste da camera bigiognola, col goletto ed i polsini di pelliccia nera, pareva nera anch’essa; sull’alare di bronzo, per la gonna un po’ sollevata e tirata indietro, si vedevano i piedini lunghetti, inarcati, calzati di pelle marrone, con un punto dorato che vi accendeva il riflesso del fuoco. Fuori, una pioggerella fitta e fredda di gennaio batteva sui vetri, ma giungeva come un lieve mormorio, attenuato dalle doppie imposte; il rapido rotolio delle carrozze, il tran-tran dei pesanti omnibus si smorzava sull’asfalto bagnato della via, come sopra un tappeto di lana. Quella stanzuccia piccina, bruna, calda, silenziosa, pareva a Marcello l’angolo recondito e solitario del mondo, che egli aveva desiderato abitare con Beatrice: il vecchio angolo che hanno sempre desiderato gli innamorati, dove non giunge l’eco triviale e grossolana della folla, dove le pareti hanno la mollezza del nido e l’aria è satura di amore, dove è lecito amarsi bene, amarsi sempre, in una continuità infinita che annulla il tempo e lo spazio. Quell’ambiente lo dominava, lo vinceva con la sua influenza moderatrice, discioglieva quell’apparenza rigidamente compita che Marcello sovrapponeva al suo carattere appassionato ed eccessivo. Senza obblighi ceri-