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Parte prima | 45 |
nalmente sul teatro. La figlia così saggia, così lontana da queste espansioni, doveva aver riso di lui in sè stessa. Ora non sapeva più che dirle, cercava uno scherzo, una ironiuccia, qualche cosa di disinvolto, per farle vedere che egli era sempre quel di prima. Per fortuna venne Marcello.
— Ebbene, si parte — disse Sangiorgio con una premura dissimulata, senza fissare in viso sua moglie e suo suocero.
— Vi metto in vagone e me ne vado — disse Mario.
Si spalancavano le porte della sala. Tutta la gente correva avanti per ritrovare la terza e la seconda classe, ma veniva bruscamente respinta dalla voce monotona dell’impiegato:
— Seconda e terza classe, indietro!
Beatrice montò sveltamente, senza farsi aiutare; Mario, ritto sullo scalino, dette una occhiata di riprovazione nell’interno del vagone.
— Tutto va bene; a rivederci dunque: — e baciò la figlia, strinse la mano al genero. Poi:
— Ricordati di scrivere alla Monsardo, Beatrice.
— No — rispose lei con voce bassa e dura, con un corrugamento delle sopracciglia; ma il monosillabo si perdette nel rumore degli sportelli che si chiudevano con violenza.
Il duca Mario Revertera si confuse nella folla, con la sua alta e distinta figura che gli dava il passo anche dove non era conosciuto. Non era punto triste. Era anzi soddisfatto. Non gli aveva assicurato la figliuola di lasciarlo con un rimpianto ed una speranza? In questa elegante frase non era riassunta la sua quiete? Tanto meglio per tutti — e soprattutto per lui.
Intanto i due sposi aspettavano la partenza. L’impiegato aveva chiuso loro lo sportello, con una grande alzata