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44 | Cuore infermo |
Ella si trasse indietro, impallidita, sgomentata. Di nuovo aveva smarrita la sua calma.
— Non so, non so... — rispose egli con tono vago, quasi parlasse a sè medesimo — in casa mi sei parsa sempre felice. Non ho cercato altro. Ma voi altre donne serbate per voi i vostri dolori, vi rodete per essi, e poi sono nostri i torti ed i rimorsi...
— No, no — arrivò a dire lei, pregandolo col gesto, con lo sguardo, di desistere da quel discorso. Ora ella arrossiva; quasi appariva umiliata ella stessa di quella spontanea umiliazione a cui discendeva la coscienza di suo padre.
Egli si tacque, rimanendo pensieroso. Così, in quei momenti, era caduta dalle labbra la piega del sogghigno e la fisonomia era diventata più grave, più vecchia. Beatrice andava ricomponendosi.
— V’ingannate — disse ella seriamente, con la sua voce pura di ogni emozione. — Sono stata felice in casa vostra, sarò felice in casa di Marcello. Lo dissi anche alla Cantelmo che me ne parlava. Vi lascio con un rimpianto e con una speranza, caro padre.
Per riflesso, per quelle parole misurate e prudenti, per subitaneo equilibrio del suo spirito, egli si calmò. Dopo tutto, Beatrice aveva ragione. A che servivano queste tenerezze fra due persone che erano vissute tanto tempo insieme, senza giungere a queste scempiaggini? Di che si andava impacciando ora, egli? che vespaio gli veniva in mente di stuzzicare? A vivere quieti e tranquilli erano inutili quelle sentimentalità da commedia. Il suo egoismo risorgeva. Si strinse lievemente nelle spalle e crollò il capo, come chi si liberi volentieri da un fastidio. In fondo provava un po’ di scorno. Si trovava ridicolo nella sua parte di padre nobile, che parla di felicità, di dolori, come si scrive falsamente nei libri e si dice convenzio-