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36 | Cuore infermo |
vrando con abilità le code lunghissime; gli uomini movendosi con disinvoltura in quelle onde di stoffa, facendo valere la distinzione del proprio saluto, facendo gonfiare il petto candido della camicia. Tutto questo senza un urto, senza un istante di confusione, con una scioltezza di movimenti che era diventata natura, come se ognuno avesse imparato alla perfezione la partina propria in quella rappresentazione. Lo spettacolo riusciva così completo, così convenevole, così degno, che gli stessi attori se ne andavano con una ciera modesta e soddisfatta.
Mario Revertera accettava le congratulazioni, lasciava cadere una breve risposta, per lo più un grazie; Marcello Sangiorgio dava una stretta di mano convulsa, una mano ora ghiacciata, ora bruciante, balbettava qualche vaga parola di ringraziamento, con lo sguardo incerto. Pareva stanco. Invece Beatrice si manteneva ritta, franca, accogliendo cortesemente le donne, trovando sempre e subito la risposta giusta ai diversi augurii, abbracciandole con moderata effusione, senza dare segno di stanchezza e di noia.
— Vi auguro tanta felicità quanta ne ho desiderato per le mie figliuole — disse la duchessa d’Alemagna, la madre felice.
— Spero di meritarla come esse — rispose Beatrice.
— Prego Dio che benedica la vostra famiglia, mia cara Beatrice — disse la buona principessa di Massenzio, cui si rimproverava di essere troppo borghese.
— Grazie per me e per la mia famiglia, signora.
— Vi auguro di essere sempre bella, Beatrice — disse la vecchia duchessa di San Demetrio, con un sorriso che le scovrì i denti ingialliti; — è il mezzo per essere invidiata e felice.
— Dovrei essere la duchessa di San Demetrio — rispose Beatrice.