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Parte sesta | 347 |
un sistema enorme di congegni che s’incontravano; dal fumaiolo della fabbrica di cappelli il fumo usciva a grossi sbuffi come la caldaia a vapore si fosse riaccesa; e la pianura grassa, senza alberi, si apriva, sbocciava, pullulava anch’essa in una vegetazione bassa e ricca, con mille toni di colori cangianti, con un movimento impercettibile, ma estesissimo in pianticelle che germogliavano, fiorivano, fruttificavano. Nel sole Napoli grandiosa si estendeva, si allungava, colma di benessere, con le grosse arterie rifluenti di sangue, le vene ricche, i gonfi fianchi dove batteva la vita.
Ma dietro le spalle di Marcello il bel villaggio s’immergeva nella quiete. Nelle sue viottole che salgono, scendono, s’incrociano, formano spianate rotonde, triangoli, piccoli quadrivii, non compariva alcuno. Le siepi di mortella, alte, folte, non erano sfiorate da contatto umano; nei boschetti, nelle capannucce di edera non si celava alcuno; solo qualche trillo d’uccello ne partiva, si elevava nell’aria, a perdersi nelle altitudini del cielo. Nelle erbe, tra i fiori che dondolavano il capo sugli svelti steli, biancheggiavano le pietre delle casette del villaggio; ogni tanto fra gli alberi, superandoli, una gran casa sorgeva, un palazzo quasi. Ma le porte erano serrate, i cancelli, dorati o dipinti di color bronzo, erano chiusi, le finestruole parevano sbarrate. Alla porta superiore del villaggio non un guardiano per ispalancare e chiudere il grande cancello; alla porta inferiore non un guardiano. Tutto taceva. Il villaggio ridiventava un bel giardino fiorito, digradando dalla cima della collina, alla pianura, con le sue rose delle quattro stagioni che si sfogliavano al suolo, coi crisantemi rosei, gialli, bianchi, con le sue aiuole di viole rosse, coi suoi boschetti folti, con i suoi filari di alberi dalla tinta bruna. La vegetazione solitaria si tranquillizzava in una grande calma. Quest’ultima collina