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Parte sesta | 345 |
Nella campagna, un alto fumaiolo sorgeva da un edificio tutto giallo: una fabbrica di cappelli: il pennacchio del fumo pendeva, senza che un fiato d’aria lo sollevasse. E poi pianura, pianura, sempre pianura; campi di robbia, paludi dove crescono e si gonfiano i cocomeri, ruscelli di acqua verdastra, seminagioni grasse di cavoli, quadrati di broccoli: una pianura che si perde monotonamente, e pare non abbia mai fine nelle nebbie della lontananza. Tutto questo si adombrava nella tetraggine plumbea che pioveva dalle nuvole; tutto il movimento di questa natura umanizzata si arrestava come un petto colossale che si fermasse dal respirare in un minuto d’ansietà.
Ma come il raggio di sole si faceva strada fra le nuvole, a poco a poco la sua luce bigia trasformava quell’aspetto. Prima erano le colline che s’innalzavano in una apparizione nella luce; le casine spiccavano, come un dado, una pietra miliare fra l’alta erba; fra le colline di Posilipo e Santacroce un ponticello di pietra, sopra un burrone, un ponticello dalla curva ardita, si rilevava; sul Vomero la rossa villa Floridiana, un dono reale ad una reale amante, rideva con sorriso d’amore; sulle mura cupe di Sant’Elmo si distinguevano le larghe tracce di una vegetazione verde che metteva una primavera in quella decrepitezza; due finestre del palazzo reale di Capodimonte si accendevano di raggi, animando quella facciata uniforme, dall’architettura rigida e pesante. E tutta Napoli, dalla costa per l’erta alle colline, pareva riprendesse il suo movimento ondulatorio, coi flutti bianchi, allegri, che si gonfiavano, sovrastavano l’uno all’altro, straripando, con un crepitìo di torrente, diffondendo le case, i palazzi, le chiese da tutte le parti; presso il mare il campanile del Carmine si slanciava, svelto, coi suoi quattro piani a finestruole che lo fanno rassomigliare stranamente al giuocattolo grandioso di un bimbo-gigante;