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338 Cuore infermo

dei fiori gli arrivava più acuto come se l’aria della sera lo assottigliasse. Si riscosse solo quando, arrivati a Portici, passarono dinanzi alla villa Revertera. Osservò che tutte le imposte erano chiuse e che la palazzina si confondeva nel bigio, come se fosse deserta da tempo immemorabile.

— Non vi è più alcuno dunque? — chiese a sè stesso.

Nella via s’incominciava ad incontrar gente. Un organetto passò, suonando un’aria di operetta, con un trillo così stridulo, che egli lo udì ripercuotersi e straziargli il cervello. S’incontravano delle tranvie piene di gente; la trombetta del conduttore squillava, acutissima. Le carrozze si fermavano per accendere i lumi: era notte. Egli si riebbe, gettò uno sguardo fuori: si era ai Granili, a Napoli. Quando le carrozze ripresero il cammino, egli protendendosi, con infinite precauzioni, rialzò i due cristalli, si chiuse nella vettura insieme con lei: e fu con una soddisfazione che si rannicchiò nel suo cantuccio, lasciandosi vincere da capo da una sonnolenza pesante. Stava con gli occhi aperti, anzi vedeva passare, attraverso i cristalli, tanti lumi, tante fiammelle, tanti punti luminosi, tanti piccoli centri di luce, che gli facevano male agli occhi; irraggiavano, si dividevano, si suddividevano, gli accendevano nella testa miriadi di scintille dolorose; abbassando le palpebre, continuava a vederle, come se avessero consumato il sottil velo della carne. Gli giungevano gridi altissimi, scoppii di voce, gravi note vibranti, strilli di una finezza femminea, e tutto questo ondeggiava, si allargava nella sua testa, producendogli un grande spasimo. Poi l’aria gli parve carica di aromi, di un peso che egli non era capace di sollevare; e tutte queste sensazioni si avvicinavano, si allontanavano, si perdevano, riapparivano, fluttuavano, danzavano...

Nel cortile del palazzo lo trassero fuori dalla carrozza sve-