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Parte sesta | 337 |
tanto s’incontrava un villano a cavallo del suo asino; il villano, involontariamente, si levava il cappello. Marcello numerava gli alberi della via, come per fissare in qualche cosa il pensiero che gli sfuggiva. Poi la stanchezza lo vinse. L’ora da Castellamare a Torre Annunziata gli parve un’eternità.
— Più presto, più presto — gridò a Francesco, il cocchiere.
Tutte le carrozze presero il mezzo galoppo. Gli alberi e le casupole scomparivano in un baleno, i filari di vite pareva che s’abbassassero e si rialzassero nella corsa. Egli chiudeva gli occhi, abbandonandosi:
— Ti piaceva andar presto, non è vero Beatrice? — disse ad alta voce.
Ma il suono delle sue parole lo spaventò. Si guardò attorno. Tanti fiori bianchi ed innocenti lo calmarono. Lentamente veniva il tramonto; dal sole che scendeva, un raggio penetrava per la portiera di cristallo abbassato. Un triangolo dorato si allungava sui fiori, toccando quasi col vertice l’argento. Ma a Torre del Greco si misero per una via interna, con un muro che la chiudeva; il sole scomparve. Una serenità grigia pioveva, ed un cielo bianchissimo al centro. Egli cercò il suo orologio per vedere l’ora; ma non lo ritrovò. Volle ricordarsi dove lo aveva lasciato, ma per quanti sforzi facesse a ravviare il filo conduttore della memoria, non vi riuscì. In uno slancio dei cavalli, irritati dal continuo schioccare della frusta di Francesco, la cassa tremò. Egli sentì in petto il contraccolpo di quel rumore, come lo squarcio di una larga ferita. E si mise a carezzare l’alto della cassa, strisciandovi le mani, come per addolcire il dolore, mormorando parole di compianto e di tenerezza. Fuori, di nuovo vi era il mare e la costa che s’imbrunivano nel crepuscolo crescente. Egli si sentiva appesantire il capo, preso da un torpore greve che lo immobilizzava; l’odore