Pagina:Cuore infermo.djvu/333


Parte sesta 333

del banchetto; le galline ed i bambini bruni, belli e sudici, riprendevano possesso della via; dietro le gelosie la fanciulla aveva ricominciato il suo lungo lavoro all’uncinetto. Ma le dita erano più fiacche, quasi la vista di quel corteggio funebre, nel sole di una giornata splendida, le avesse ammollite e tolto loro la forza.

Di nuovo sulla via maestra, il rumore cadeva. Ma il sole scottava ed i cocchieri sudavano, il viso rosso e grave, sotto i cappelli a staio dalla coccarda nera. Nella prima carrozza era il conte Sangiorgio, con due cugini, dello stesso cognome, parenti lontani, correttamente vestiti di nero. Le portiere erano chiuse, ma i vetri erano abbassati, perchè il ponente temperasse il caldo della giornata e dell’ora. Nella seconda carrozza quattro preti, tutti di nero, coi tricorni lucidi, il cappellano di casa Sangiorgio, quello di casa Revertera, il confessore della morta, tutti tre venuti da Napoli, quarto il canonico Ruggi di Vico Equense, cappellano di villeggiatura. I quattro preti scambiavano poche parole, guardando dagli sportelli nella via. Ogni tanto uno di essi si piegava all’infuori per guardare la carrozza dove era trasportata la duchessa, per vedere se subito dopo veniva quella dei chierichetti, sagrestani, gente dalle figure bianche, come corrose dall’acqua benedetta. Dopo, sei carrozze; era la servitù alta e bassa delle due case, venuta da Napoli. Tutta questa gente, uomini e donne, affettava un lutto esagerato, con le facce serie e compunte. Solo Giovannina, che stava col maggiordomo, si asciugava qualche lagrima. E spiegava lungamente che aveva dovuto vestirla, come ella glie ne aveva manifestato il desiderio un giorno. Tratto tratto anch’essa si piegava dallo sportello per guardare avanti, fra la carrozza dei preti e quella dei chierici, la carrozza dove viaggiava la duchessa morta.

Era la carrozza solita delle passeggiate, la daumont