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Parte sesta | 331 |
E si pose a disporli in mazzetti.
— Marcello, ci vorrebbe del filo per legarli.
— Ne vado a prendere?
— Su in casa? Starai molto?
— No, due minuti. Non vuoi rimaner sola?
— Starai poco. Te lo darà Giovannina.
— Vuoi altro?
— Null’altro.
E si avviò pel viale. Ella gli teneva dietro con lo sguardo. Ad un tratto lo chiamò. Marcello si volse, ritornò.
— Anche le forbici — soggiunse lei.
Rimasta sola, ella si versò tutte le rose in grembo, facendone una scelta. Quell’odore la inebbriava un poco. Una lucertolina che guizzò, la fece volgere. Alle sue spalle, da un’apertura del pergolato si vedeva un altro viale, poi la siepe ed un pezzo del parco Torraca. Vi gettò uno sguardo obliquo, indifferente. Poi ritornò alle sue rose, fece un mazzetto di gradazioni dal rosso vivo al bianco appannato, di un effetto ammirabile. Ci voleva il filo per legarlo e Marcello non veniva. Si volse di nuovo, per distrarre la sua impazienza. Ma i suoi occhi rimasero fissi sul pezzo di parco Torraca che si vedeva; sempre più fissi, sempre più ardenti. Improvvisamente in quel viale una donna alta, ma curva, pallida, vestita di scuro, comparve: Lalla D’Aragona. Camminava piano, solitaria, quasi trascinandosi. Alla siepe si arrestò un pochino, con uno sguardo lungo; poi scomparve dalla parte opposta donde era venuta, come se fosse andata a raggiungere l’assente.
— Marcello, vieni! — gridò una voce soffocata.
Nulla. Silenzio profondo.
— Marcello, Marcello! — fu il supremo grido d’angoscia.