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Parte prima | 33 |
zio di Marcello, un bel gentiluomo, alto, canuto, con una di quelle teste che paiono espressive e sono insignificanti. Si fa silenzio. Dietro il tavolino ha preso posto il duca di Rivela, un consigliere del comune di Napoli, che funziona per cortesia da uffiziale dello stato civile. È un viveur dai capelli radi sulla fronte, dai lineamenti abbattuti: è diviso da sua moglie. Sotto la marsina compare un pezzetto della fascia tricolore. Egli compie le sue operazioni con una posatezza calcolata che finisce per imporne agl’invitati; non si ode un mormorio, le candele accese sul tavolino, la cui piccola lingua di fiamma è divorata dalla luce meridiana, crepitano. È un istante di profonda aspettazione, ed un pensiero s’impadronisce di tutte quelle menti disattente ed annoiate, un pensiero che domina tutti gli altri. Il duca di Rivela apre il librettino azzurro che è il Codice, e con voce alta legge:
«Articolo 130. — Il matrimonio impone ai coniugi l’obbligazione reciproca della coabitazione, della fedeltà e dell’assistenza.»
Nei cuori si risveglia una lunga eco di ricordi: molti e molti furono i giuramenti simili, eppure quanti forti amori svaniti, quanti legami bruscamente distrutti, quante famiglie scisse!
«Articolo 131. — Il marito è capo della famiglia; la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome, ed è obbligata d’accompagnarlo ovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza.»
«Articolo 132. — Il marito ha il dovere di proteggere la moglie, di tenerla presso di sè e di somministrarle tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita in proporzione delle sue sostanze. La moglie deve contribuire al mantenimento del marito, se questo non ha i mezzi sufficienti.»