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328 Cuore infermo

ritornò era abbattuta assai, ma egualmente soddisfatta della sua prova di valore. Poi, per una settimana maturò un grande disegno, tacitamente prendendo i suoi riposi per poterlo compire. Voleva scendere nel parco, passeggiare un poco pei viali, poi riposarsi sotto il pergolato, al rezzo, in una poltroncina che si sarebbe fatta trasportare laggiù. Sarebbe stata una bellissima mattinata, con Marcello che sarebbe contento di vederla, tanto forte! La difficoltà stava a dover risalire la scala; ma infine Dio l’avrebbe aiutata a farle sopportare quella fatica.

Questo suo disegno la infiammò. Nella sua immaginazione lo ingrandì, lo adornò, lo rese bellissimo. Lo desiderò, lo volle. Ne parlò a Marcello, prima incertamente, lasciando cadere la proposta come se non vi badasse troppo, poi vi ritornò sopra, dette delle spiegazioni, aggiunse dei particolari.

— Ne avrai la forza? — chiedeva Marcello, vedendola sempre debolissima, con un respiro breve da bambina.

— Lo spero — rispondeva sorridendo.

Però attese ancora. Ci voleva molta pazienza, perchè poi qualche sofferenza non venisse a turbare la gaia mattinata che sognava. Si decideva: sarà domani. L’indomani, per una ragione o per l’altra, rimetteva di nuovo l’esecuzione della sua idea. In fondo non voleva confessare di non essere molto sicura di sè.

Infine, il 27 maggio ella disse la sera a Marcello: «Domattina scenderemo nel parco.» La mattina, camminando nella sua camera, fu presa da una nuova esitazione. Avrebbe potuto? Sì, sì, avrebbe potuto. Si guardò nello specchio e si trovò sempre pallida; ma forse dipendeva dall’accappatoio di batista bianca a trine di filo giallo.

— Hai fatto portare le poltrone giù? — chiese a Marcello, come egli entrò.