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312 Cuore infermo

violenze incoscienti, i sùbiti abbandoni, le rinascenti seduzioni. Marcello, meravigliato, stordito, travolto, si metteva ad amarla con una maggior passione; la sua natura meridionale, il suo temperamento ricco, trovavano nell’amore di Beatrice una esplicazione completa. Quei cambiamenti bruschi, rapidissimi, senza causa, quella variabilità costante, quelli sbalzi da un eccesso d’affetto ad un eccesso di freddezza, animavano, fustigavano il loro amore, gli davano il colpo di frusta per scuoterlo, il colpo di sprone per insanguinarlo e farlo galoppare, gli davano il pimento che brucia il palato, gli davano il sapore molle ed acre delle lacrime con cui è tanto delizioso il bacio. Le loro gioie mescolate alla tristezza diventavano amaramente voluttuose. Non conoscevano più il limite dove il dolore diventa un piacere ed il piacere un dolore. Le sensazioni si spostavano, l’immaginazione si dilettava nel suo tormento, l’amore si deliziava nel suo cruccio. Come i santi fanatici del cristianesimo, essi si consolavano nel vedersi consumare in un focolare ardente. Anzitutto Beatrice, che si sentiva veramente sfinire ogni giorno — e si allietava di questo sfinimento e ne rilevava ogni giorno i sintomi e sempre più cercava di aggiungervi una nuova fiamma di emozione. Alle volte, mentre erano in presenza di persone, nella via, in carrozza, in visita, essa rivolgeva al marito un’occhiata obliqua che bastava a turbarlo. Poi lo fissava lungamente con gli occhi grigi in cui passavano come delle onde di azzurro, con un tremito lieve e provocante delle labbra che pareva mormorassero parole spezzate; e lui irresistibilmente le si accostava, quasi volesse dirle qualche cosa a voce sommessa.

— Io non t’ho chiamato — diceva lei freddamente, abbassando le palpebre, corrugando le sopracciglia in un moto di severità.