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298 Cuore infermo

— Sto bene, sto bene — disse ella brevemente, entrando nell’appartamento seguita da suo marito.

— Cattiva, sei uscita senza di me; dovrei essere in collera.

Ella scioglieva i nastri del suo cappello, si toglieva i guanti, il mantello, senza rispondere.

— Dove sei stata dunque? Raccontami.

— Sono stata da Fanny. Quando sei uscito, mi annoiavo. Dormire non ho potuto. Contavo i minuti della tua assenza. Sola, sola, mi veniva la nostalgia: Ho pensato di uscire. Una giornata bellissima. Fanny era presso il fuoco. Abbiamo chiacchierato molto, di molte cose, Ti saluta tanto. Dopo... dove sono andata dopo? Oh! ... mi ricordo. Dal gioielliere per far rimontare i miei rubini. Saranno magnifici, te lo assicuro. Ha ricevuto certe belle turchine.

— Ne vuoi, cara? Passerò io domani di là.

— Grazie, caro. Poi... poi... ho fatto tante cose oggi, che non mi ci raccapezzo più. Ah! ho comperato dei fiori, delle giunchiglie. So che ti piacciono; le porteranno qui. E poi ho comperato dei dolci che rosicchieremo insieme, amore. Un mondo di cose, come vedi.

Parlava a scatti, nervosa, con la voce indurita. Marcello la guardava un po’ esitante. Stava bene ora: questo era certo. Ma qualche cosa era dovuto accadere. Durante il pranzo ella non prese quasi nulla, chiacchierando sempre, con una grande volubilità, sorridendo, agitandosi; alle frutta, bevve un bicchiere di Xeres puro, senza batter palpebra. Pel teatro mise un abito nuovo, giunto il giorno prima da Parigi, una stoffa color pesca, ornata a frangie rosse, un’acconciatura ricchissima. Fu di buon umore, scherzò, rise, prese un gelato, conversò con gli amici, guardando suo marito