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296 | Cuore infermo |
mento, perchè era venuta; ma la realtà le si aggravò di nuovo sull’anima. Entrando in carrozza.
— A Foria — disse al cocchiere.
Al trotto dei cavalli se ne partivano anche i suoi pensieri. Il dottore Galliata era una illustrazione della scienza medica, aveva salvato centinaia di persone, bisognava affidarsi a lui. Queste malattie di cuore debbono avere il loro rimedio, egli lo avrebbe indicato. Sua madre ne era morta di questa malattia, è vero; ma forse la povera e cara donna non aveva mai pensato a farsi curare. Eppoi, lei, Beatrice, era forte, giovane, robusta, piena di vita... il cuore solo era ammalato... ma il dottore Galliata avrebbe provveduto. Gli avrebbe raccontato tutto, minutamente, la storia di sua madre e la sua: gli avrebbe confessato l’immenso bisogno che sentiva di vivere, il prezzo altissimo che per lei aveva la vita. Questi medici sono psicologi, anzitutto; egli l’avrebbe compresa. Ed il rimedio... ma mentre arrivava all’altezza del Museo Nazionale, mentre poco mancava per giungere, un pensiero rapidissimo le attraversò il cervello:
— E se non vi è alcun rimedio?
Pensiero pauroso, opprimente, che l’agghiacciò. Il dottor Galliata era franco, violento; Fanny glielo aveva detto. Egli non le risparmierebbe la verità. Se la sua malattia era mortale, il dottore glielo avrebbe annunziato, senza reticenze, senza mezzi termini. Come, come avrebbe ella potuto sopportare una condanna così crudele? Non valeva meglio illudersi sul proprio stato, anziché abbreviarsi la vita? Dio! Dio! ella non voleva sapere, non voleva sapere; la verità le faceva spavento; preferiva ignorare, chiudere gli occhi per non scorgere l’abisso: era senza coraggio, era vigliacca! Amava Marcello, ecco tutto. Quando passò innanzi al numero 112, fece per tirare il cordone del cocchiere, ma poi si rigettò