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Parte sesta 287

— No, mio signore. Se l’abito vi piace, basterà quello.

— Confesso di essermi sbagliato. Sei tu che mi piaci.

— Bah! io lo so — rispondeva lei con un’aria maliziosa.

— Mi piaci assai, assai, enormemente.

— Leggi.

— No.

— Leggi, leggi; io sto a sentire.

— No, no; il libro è stupido.

— Infatti, è un po’ stupido...

— Dunque, perchè vuoi farmi leggere?

— Per sentire la tua voce, Marcello mio.

— Ti ci addormenti invece. Poc’anzi avevi chiuso gli occhi.

— Ti guardavo.

— Attraverso le palpebre?

— Attraverso. Ti veggo perfettamente, Marcello.

— Ebbene, io ti veggo ad occhi chiusi, anche quando non ci sei. Anzi, senti, senti... — e si chinò all’orecchio, dicendole una cosa che le accese il volto di una fiamma.

— Taci, taci — balbettò essa. — Te ne prego, prendi il libro e leggi.

— Ecco qui il tuo libro, il tuo sciocco libro. Ma ti assicuro...

— No, no, zitto. Vengo anch’io a leggere con te, per non affaticarti.

E gli si accostò sul divanetto, gli passò un braccio al collo e gli appoggiò il capo sul petto, fissando gli occhi nelle pagine. Egli le cinse la vita quasi per sostenerla e rimasero così zitti, zitti, quieti.

— Non volti la pagina? — chiese ella, dopo un certo tempo.

— Non ho letto una parola.