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280 Cuore infermo

prima perla di un tesoro inesauribile. Con una sorpresa crescente che li stordiva di gioia, pensavano alle gemme splendide che esistevano per essi. D’un tratto l’orizzonte si spalancava ed essi ne diventavano il centro irradiatore; spaziavano con lo sguardo in una vastità ridente. Riappariva la nozione del tempo, dello spazio, della vita quotidiana, ma perché ognuna di queste cose servisse all’amore, riflettesse l’amore, fosse impregnata d’amore. Poi si riconoscevano, si ritrovavano con un diletto infinito; l’amore non faceva più scomparire la persona amata. Niente che a chiamarsi per nome, nelle intonazioni languide, nei soffii di voce che sembrano baci, nei baci che sembrano parole, provavano un novello gaudio, il preludio soave di quelli che li aspettavano. Si facevano cauti, avari, innamorati, dinanzi al loro tesoro. Morire, morire! Perché avevano voluto morire? Perché aver voluto condensare l’amore in un sol giorno, in una sola ora, per morirne soffocati? Quella fiamma viva che scorreva per le vene, che lambiva la pelle, che precipitava le pulsazioni del cuore, non era morte, era colmo di vita, era gioventù ed amore. Quell’incendio dolce non distruggeva, vivificava. Per intuito si sentivano dinanzi ad una grande rivelazione; ma rimanevano ancora deliziosamente ignoranti, non volendo indagarla per serbarsi la contentezza di nuove meraviglie; comprendevano, chiamandosi sommessamente, l’alta ragione dell’esistenza. Per amare, bisogna amar bene, amar sempre; trovare tutte le forme, tutte le apparenze, tutte le parvenze dell’amore; amarsi internamente, nel segreto del cuore, pienamente, abbruciando l’olibano profumato dell’affetto; amarsi esternamente, nella piena luce, nell’azzurro della terra o nel nero del cielo; prendere l’amore da tutto e ridonarlo a tutto; essere l’individuo,