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Parte quinta | 271 |
— Lo porta via — mormorò Beatrice.
— Che dici? — le chiese lo zio.
— Nulla; vorrei fermarmi per raccogliere la coda; me la calpestano.
Ma in verità ella non voleva incontrarsi a’ piedi dello scalone con suo marito e Lalla. Fu impossibile però arrestarsi. La gente di dietro spingeva e già le due coppie si trovarono di fronte.
— Buona sera, signora duchessa.
— Buona sera, signora contessa.
— Una piacevole serata, nevvero?
— Piacevolissima; buona notte.
— Buona notte.
E si lasciarono. Beatrice passò nello stretto e disadatto foyer ad aspettare la sua vettura. Altre signore erano là. La circondarono, facendole dei complimenti sulle sue gioie. Ella soffocata, rispondeva col capo, senza parlare.
Nella carrozza, nel breve tragitto sino a Monte di Dio, il conte Domenico le chiese:
— Perchè Marcello va con la D’Aragona?
— Dicono che sia la sua amante, zio — rispose ella freddamente.
— Diamine! non sarà vero. Con una moglie come te!
— La gente è maligna, zio.
A casa perdette un quarto d’ora per liberarsi di suo zio, della Giovannina. S’impazientiva; voleva rimanere sola. Non sarebbe tornato Marcello a casa, neppure per un momento? Questa speranza ancora la confortava. Che avrebbe fatto allora? Non lo sapeva. Nell’impazienza, aveva buttato in un canto il mantello, ma non aveva pensato a svestirsi. I suoi brillanti luccicavano ancora nella penombra. Nessun rumore nella camera accanto; era vuota. Forse Marcello non sarebbe più