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Parte quinta | 267 |
La porta del palchetto di Beatrice si socchiuse; Marcello entrò, salutò la moglie. Ma non sedette, nè posò il cappello.
— Eccoti finalmente! — esclamò lo zio. — Dove ti eri ficcato?
— Laggiù... — rispose egli facendo un cenno vago con la mano.
— Nelle poltrone?
— No, no. Ti diverti tu, Beatrice?
— Moltissimo — rispose lei, fissandolo bene. — E tu?
— Moltissimo. Hai troppi brillanti stasera.
— Ti pare? Non li ho neppure messi tutti.
— Fanno male alla vista — disse Marcello, con voce stanca, quasi veramente fosse affaticato per averli guardati.
— Hai torto, caro nipote. L’acconciatura di Beatrice è bellissima; tutti sono stati dello stesso parere.
— È il mio abito da sposa — disse lei, lasciando cadere con noncuranza le sue parole.
Marcello aggrottò le sopracciglia. L’impressione aveva dovuto esser penosa.
— Perchè l’hai indossato? Vai a nozze forse questa sera?
Ella non parve aver inteso.
— Perchè non siedi? — gli chiese invece.
— Non voglio.
— Sì, sì, siedi — confermò suo zio. — Io esco un momento a prendere una boccata d’aria, a fumare un sigaro. Beatrice non può rimaner sola.
E gli cedette il posto di fronte a Beatrice. Marcello fu costretto a sedervisi. Non era che un semplice cangiamento di scena. Adesso toccava a Lalla vedere