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266 Cuore infermo

dalo. La sua ragione si offuscava. Perdeva il sentimento della realtà. Dimenticava di essere innanzi al pubblico. Si voltò con tutta la persona, e determinatamente si rivolse verso il palchetto di Lalla, sbarrandovi i suoi grandi occhi: la vide scuotersi, farsi indietro come si arrestasse davanti ad un pericolo. Si salutarono col capo. Beatrice sorrideva, ostinatamente, con una espressione muta di tutta la fisonomia. Cercava di discernere Marcello, ma lo vedeva confusamente. Trovava un piacere cattivo in quello che faceva. Si straziava il cuore in quei momenti, ma sapeva che il contraccolpo poteva scorgerlo sul volto di Lalla.

— Voglio vedere se giungo a far comparire Marcello — disse fra sè, con quel calcolo freddo e paradossatico di chi perde il giudizio.

Continuava a guardare là. La mano di Lalla, abbandonata in grembo, stringeva convulsivamente il fazzoletto.

— Toh! come si guardano la D’Aragona e la Sangiorgio — disse Mimì D’Alemagna ad Alessandro Aldemoresco, nelle poltrone.

— Infatti la cosa è graziosissima — rispose l’altro.

— E si sorridono. Non c’è che dire; sono due donnine di spirito.

— Preferisco la Sangiorgio.

— Anch’io questa sera.

— Vedi, vedi, nel palchetto della D’Aragona c’è Marcello. È comparso ora sul davanti.

— È il colmo, caro Mimì; vi è dell’ardimento.

— Bah! non accadrà nulla. Marcello si ritira.