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Parte quinta 261

a gas, tutto assorto nella lettura, senza accorgersi della folla che lo investiva. Poi la gente diventava più scarsa; il teatro la inghiottiva, con le sue molteplici bocche. Rimanevano nel vestibolo, discorrendo ancora, aspettando, fumando, gli spettatori annoiati, quelli che si davano la posa di scettici, quelli che non potevano soffrire le sinfonie; rimanevano certe figure grame, dal vestito di un colore dubbio, figure che si vedono in tutti gli atrii, sorci di teatro, che aspettano lo spettacolo sia cominciato, per sdrucciolare nella sala senza biglietto, con un ammicco fra il confidente ed il supplichevole al bigliettinaio della porta.


Alle dieci, quando si levò il sipario sul secondo atto, sul vascello dove Vasco di Gama va al naufragio, la sala era piena. Nella platea non un posto; non un posto nelle poltrone d’orchestra; nei piccoli corridoi, nei vani delle porte di fianco, gente in piedi. Dalla prima alla sesta fila, non un palco vuoto. Come numero di pubblico, la riapertura era un successo. Il piccolo Caranni assicurava nelle poltrone che l’abbonamento della prima dispari, la serata per eccellenza, la serata di tutte le prime rappresentazioni, era ottimo: sosteneva che vi erano riunite tutte le bellezze napoletane. Un giornalista prendeva nota dei nomi più vistosi e delle acconciature più clamorose, sicuro che l’indomani avrebbe venduto un grande numero di copie per le signore che volevano riconoscersi nella cronaca. Le distinzioni per fila rimanevano come quelle degli altri anni. La prima prediletta alle madri che hanno fanciulle da marito, perchè i giovanotti le veggano più da vicino. In seconda fila riunito tutto il blasone napoletano; dame giovani e