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256 Cuore infermo

piere un atto di volontà. La riprendevano gli scrupoli delicati per cui celava a tutti il suo amore, più di tutti a Marcello; la riprendeva quel senso di fiero pudore, che la passione deve combattere così lungamente nella donna che ha amato troppo tardi. Rimetteva all’indomani, affidandosi al caso, fortunata di avere guadagnato anche un’altra notte, come il disgraziato che ha guadagnato il pane della sua giornata, senza sapere come mangerà domani.

In quelle lunghe veglie, ella tentava, talvolta, di considerare freddamente la sua posizione. Voleva esaminare il pro ed il contra, voleva ragionare, per decidersi a qualche cosa. Comunque sia, ella avrebbe trovata la forza per mettere in opera la sua risoluzione. Ma non le riesciva. Giungeva sino a non pensare a Lalla ed a Marcello; pensava solo a sè. Ebbene, anche ridotta così la questione, ella si trovava innanzi ad un abisso. Ella amava profondamente, come sua madre doveva avere amato; ella aveva ereditato da lei il fervore, l’intensità, la concentrazione dell’amore; psicologicamente ella era la figlia di Luisa Revertera. Ma era tale anche fisiologicamente; da sua madre aveva ereditato un povero cuore delicato, guasto nelle sue fibre, quasi mostruoso, dalla vita malaticcio. Così il cuore fisico ed il cuore psichico combattevano una lotta interna, in cui l’uno o l’altro doveva morire. Ella non sapeva nulla di queste cose, ma sentiva in sè la guerra spaventosa, la medesima guerra che aveva dovuto sentire Luisa Revertera. Lungamente Beatrice aveva dubitato dell’amore; aveva creduto che la vita, senza di esso, fosse vita. Per pietà di sè, del suo cuore infermo che non avrebbe resistito all’amore, essa lo aveva creduto inutile. Ora lo aveva nel petto, onnipotente; ma ancora non si scrollavano i suoi dubbii. Nella notte, agitata dall’incertezza, ella