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246 Cuore infermo

sposarla. Vedrai che me ne morirò di tisi. Oppure egli mi avvelenerà. Mamma è morta, papà è morto, non ho nessuno per me; non ho neppure un bambino. L’avvenire è nero, nero. Se muoio, nessuno mi piangerà, nessuno...

Ed esaltata dalle sue stesse parole, dai suoi dolori immaginari, dal volto inflessibile di Beatrice, si gittò a piangere, a singhiozzare nell’angolo del divano, lamentandosi, contorcendosi, sussultando per tutto il corpo.

— È per tutto questo — domandò Beatrice — che avevi pensato di trovarti un amante in Marcello?

— Oh! Beatrice! come puoi parlarmi così? Sei crudele. Infine io sono una debole donna, una disgraziata donna, senza guida, senza consiglio... Sii generosa...

— Romanzo come sempre, amica mia. Di che generosità mi parli? La sofferenza umana ha un limite. Tu sei per perderti, io posso tenderti la mano e salvarti. Ma dopo non posso abbracciarti e baciarti in bocca, ringraziarti di avermi voluto togliere Marcello...

— Oh! sì, sì, hai ragione, io sono un’ingrata, sono una malvagia creatura — e si abbandonò di nuovo a piangere convulsamente.

— ... Mettiamo i due casi. Marcello non sapeva donde venivano le lettere, non ha mai pensato a farti la corte. E se oggi avesse sorriso di scherno, quando t’avesse vista? Voi non lo conoscete: egli è uomo che sa amare e sa disprezzare. Io lo so. Così tu avresti fatto getto, per un folle capriccio, per chi non t’amava, della tua fede di moglie, del tuo nome onorato.

— Oh! taci, taci, non tormentarmi...

— ... Oppure, domani Marcello sarebbe stato il tuo amante. Te lo ripeto, egli non sa amare per metà. Fra un mese, fra tre mesi Marcello e Giulio si sarebbero battuti in duello.