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240 Cuore infermo

mento, guasta dalle letture, dove si innalza nelle regioni aeree il vizio volgare, perchè di lontano sembri azzurro ed innocente; la donna, ricca, nobile ed annoiata che si è appassionata alle finte lagrime delle attrici celebri nei drammi a sensazione; la donna frivola che sogna nelle sue pigrizie un sublime adulterio all’acqua di rosa, e trascinata, ingannando sè stessa, senza neppure la scusa della passione, discende sino alla colpa con artificio di lagrime, con un’apocrifa disperazione.

Il pericolo era là, imminente. L’orologio segnava l’una e mezzo. Non rimaneva che pochissimo tempo. Beatrice riunì le lettere, rifece i pacchetti come li aveva ritrovati, li ripose nel cassetto. Del resto non la tormentava alcuna ansietà. Ora conosceva tutto. Vedeva quanto le rimanesse a fare; analizzava la sua situazione con una freddezza minuziosa. Temeva solo di non giungere in tempo. Al contatto del pericolo, il suo affanno non sapeva perdersi in elegie; non aveva neppure pianto. Purchè arrivasse in tempo!

— Vestitemi presto, Giovannina — disse alla cameriera quando fu rientrata nella sua camera. — ma prima ordinate la carrozza.

— La carrozza aperta?

— No: il landau.

— Che abito metterà la signora?

— Fa freddo?

— Un poco; ma c’è un bel sole.

— L’abito di velluto verde, il dolman nero, il cappello che va con l’abito.



Amalia Cantelmo passeggiava lentamente in un viale del parco di Capodimonte. Ma si trovava al punto opposto della Cascina Svizzera: era venuta molto presto, troppo