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24 | Cuore infermo |
Serafina aveva fatto un altro giro per la camera, aveva dato una buona notte a voce bassa e si era ritirata. Giulio scriveva, voltando le spalle alla moglie; Amalia aveva osservato se gonfiavano bene le pieghe del suo accappatoio; poi si era ricordata delle orazioni: seduta sull’orlo del letto, con le mani abbandonate lungo la persona, essa le balbettava, guardando una Madonnina col bambino, una Madonnina bella e buona. D’un tratto ella si risovvenne della serata, della sorpresa provata, dello strano romanzo che entrava novellamente nella sua vita. Con una rapidità fantastica, ella vi creò su un seguito di capitoli precipitosi e drammatici che finivano ad una catastrofe paurosa. Tutta accesa in volto, ansiosa e palpitante, ella fissava gli occhi nel vuoto, seguendo il volo della fervida immaginazione: fece un gesto energico e disperato con le braccia verso il marito, poi si guardò nello specchio per vedere se rassomigliava a Virginia Marini nella Straniera di A. Dumas.
Giulio intanto scriveva: «Non ridere, cara Titina, brunetta mia, se vedi le iniziali di mia moglie...»
La penna scorreva rettamente, da un capo all’altro del foglio, fra le dita di Beatrice, lasciandosi dietro un caratterino sottile, lungo, eguale, dalle sfumature molto fini. La luce della lampada, moderata da un grande paralume azzurro, lasciava cadere un circolo luminoso sulla scrivania: vi brillava il coperchio d’oro del calamaio aperto, prendeva una tinta giallina il foglietto di carta inglese, rifulgevano a sprazzi le gemme della sicura mano, dalle unghie troppo rosee, che compiva il suo lavoro con tanta esattezza. A volte, quando Beatrice chinava la testa, entrava in luce il basso del volto, solo il mento, o il mento e la bocca: il resto rimaneva nella