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222 | Cuore infermo |
Marcello si meravigliò del ritorno improvviso; la stagione era ancora buona, ella avrebbe potuto ancora restare a Sorrento. No, una tempesta orribile aveva percosso Sorrento, ella aveva voluto tornare. Ed in così dire la voce di Beatrice, pieghevole e duttile, era diventata severa. Egli la fissò lungamente, quasi che volesse scrutare se niente di nuovo fosse accaduto in quell’anima; ma nulla dovette intravvedere o comprendere. Si lasciarono senza i saluti gentili e cerimoniosi che usavano dapprima. Quando ella fu sola, venne colpita da un senso di terrore. Sanguinava la ferita; il sogno di Sorrento era la realtà, era il presente. Dimenticare non poteva. Invano cercava riafferrare la sua vita antica, invano voleva riviverla. Tutti gli anni d’infanzia, dell’adolescenza, della prima giovinezza scomparivano: sembrava che ella non li avesse vissuti; rimanevano tre mesi nella fioritura, nell’azzurro, nel fulgore di Sorrento. Nella mente, donde ogni altro ricordo era annullato, quei giorni erano impressi uno per uno, vivi, lucidi, onnipresenti, onnipotenti, terminati da una notte cupa e paurosa. Non vedeva, non sentiva che quelli. Cercava ribellarsi, contorcersi, liberarsi da essi; si rivoltava con tutta la forza della volontà contro l’idea fissa, ma l’idea fissa la dominava maggiormente, dopo ogni tentativo di rivolta. Ancora non era giunta al sentimento dell’impotenza, a quell’annientamento rassegnato che è l’ultimo punto del dolore. Ella combatteva le sue battaglie; la sua fierezza la sosteneva ancora; ma già una debolezza crescente la invadeva.
Per rimedio, cercava ripigliare l’antica esistenza. La sera predisponeva pel giorno seguente le sue occupazioni; si raffermava nelle sue risoluzioni; al mattino si risvegliava pronta, ben disposta. Ma il bigio mattino autunnale che si trascinava pigro nelle tristi vie le