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22 | Cuore infermo |
donna, la marcia dell’Orfeo. Mentre sua moglie terminava la sua lunga acconciatura da notte, egli guardava Napoli, la sua Napoli, la Napoli elegante e gaudente che vive nelle tre vie di Toledo, di Chiaia e della Riviera, ed in uno spazio così ristretto accumula quei tentativi di lusso, di piacere, di corruzione, che la possono veramente far rassomigliare ad una grande città. Alla domanda della moglie egli si strinse lievemente nelle spalle e le diede una boccetta di cristallo smerigliato, dove i sali inglesi parevano rinchiusi in una brillante prigione. Amalia fiutò a lungo, con la testa buttata indietro sulla spalliera della poltrona, mentre la cameriera, inginocchiata davanti a lei, le sbottonava delicatamente uno stivalino.
— Mi sento male, male, male — prese a dire Amalia, col tono piagnoloso di un bambino che tormenta i grandi per essere compatito — ho dei dolori qui, nel petto, e oggi ho tossito due volte. Quest’aria mi farà morire.
— Ritorniamo a Napoli? — chiese Giulio, e gli si dipinse sul volto un desiderio intenso, che rianimava la sua molle ed indolente fisionomia.
— Io rimango qui — rispose Amalia irritata.
— Per quello che siamo venuti a fare... — aggiunse Giulio vagamente.
— A stare con Beatrice, a conoscere il suo fidanzato, signor mio.
— A vederli far l’amore — disse Giulio ridendo.
— Non s’amano, Giulio — rispose Amalia con una afflizione nella voce.
— Tanto meglio.
— Come?!
— Niente, cara.
Serafina, la cameriera, ascoltava la piccola disputa senza parer di udirla, camminando piano nella camera,