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Parte quinta | 215 |
lo scacciò. Servivano il the, il the delle quattro, che i nobili napoletani si sono rassegnati a prendere, per imitare bene gli usi inglesi. Amalia aveva trovato un pretesto per celare la sua inquietudine; andava e veniva con le tazze in mano, fermandosi a conversare un momento coi giovanotti, occupandosi molto dei suoi doveri di padrona di casa. Beatrice e Fanny rifiutarono; non prendevano mai the. Discorrevano insieme. La Giansante aveva intorno a sè tre o quattro giovanotti, che si divertiva a confondere con le sue risposte taglienti: dal suo gruppo non partivano che esclamazioni di ammirazione, proteste, risate. La Montefermo si lasciava dire da Caranni che le donne tedesche erano la sua passione: ed il piccolo marchese dal cervellino minuscolo era tutto lieto per aver trovato questa bella frase. La contessa madre Mormile discorreva con Màrgari di un certo duetto dell’Orfeo ed Euridice che avevano cantato insieme trent’anni prima, mentre ella fingeva tenere d’occhio le sue signorine, che avevano trovato ciascuna un ammiratore. La Montefermo, figlia abbandonata, sbadigliava dietro il suo ventaglio; la Filomarino aveva dato la metà del suo biscotto a Mimì D’Alemagna che lo aveva rosicchiato, guardandola negli occhi, con una muta espressione di tutto il volto...
— La marchesa di Monsardo, la contessa D’Aragona — annunciò il servo.
Sulla sua seggiola Beatrice tremò tutta. Le palpebre le batterono due o tre volte come se provasse un abbagliamento. A Fanny che si chinava verso lei, colpita, mormorando:
— Dio mio, Dio mio...
— Non è nulla — rispose sottovoce, le sorrise, rizzandosi sul busto.
La piccola scena non fu vista che da Paolo Colle-