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212 | Cuore infermo |
— E le opere? e la compagnia?
— Aprono con l’Africana.
— Ancora del Meyerbeer! — esclamò la Giansante. — Ne avremo ogni anno.
— A me piace l’Africana — disse la Montefermo languidamente. — Quella morte sotto il manzanillo è poetica.
— E quel vascello che va a picco! — esclamò Amalia — di un grande effetto drammatico.
— Una musica stupenda — disse Màrgari; — qualche lungaggine, ma piena di carattere.
— Ci saremo tutte in prima dispari? — chiese la Filomarino.
— Io ci sono con mia suocera — rispose Fanny.
— Non me ne parlate — disse Amalia: — ho avuto un brutto palco, numero 12, di seconda fila; nell’ombra del palco reale.
— Io mi sono unita con la Ruffo — rispose la Giansante. — È abbastanza bella per formarmi un contrapposto.
Le signore ed i signori protestarono. Il servo annunziò Francesco Filomarino, Mimì D’Alemagna e Paolo Collemagno. I due primi, uno marito della Giovanna, l’altro fortemente indiziato di essere il suo amante, entrarono insieme, da intimi amici quali erano; Paolo Collemagno entrò dopo, suscitando un certo mormorìo fra le signore. Si conosceva il suo amore sfortunato per la D’Aragona, si ammirava la delicatezza con cui celava la sua passione, rimanendo sempre amabile, sorridente, un po’ taciturno in società. Le signore lo trovavano interessante; le signorine pensavano che un disingannato d’amore conduce talvolta al matrimonio. La sua entrata fu dunque un piccolo successo. Egli andò a mettersi dietro la seggiola di Amalia, chinandosi per dirle ogni