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Parte prima | 21 |
ciocche di capelli, ricordo degli antichi incantesimi latini, di nastri gualciti, di guanti strappati, di fiori secchi dall’odore già vecchio, di tutte quelle cose che hanno toccato il volto, il collo, il braccio, le labbra, il corpo dell’amata e che intanto debbono parlare della sua anima. Si respirava nell’aria uno di quei profumi che le donne orientali bruciano nei loro appartamenti, profumi penetranti che assopiscono: verso il soffitto una nuvoletta biancastra si dileguava in strie sottili; sul tavolino dove era il lume, presso il letto, un grande bicchiere pieno d’una bevanda verde-opalina dove nuotava un pezzo di ghiaccio trasparente. A capoletto c’era stato una volta un ritratto ovale, quello di Luisa Revertera, la moglie di Mario; dopo la morte di lei, Mario l’aveva fatto togliere di là; sul parato dove era stato il quadro, si disegnava un ovale sbiancato, dove sembrava apparisse il volto della morta, volto senza sguardo, semplicemente pallido.
Ma nel sonno che se la prendeva, la camera rassomigliava tal quale a chi l’abitava. Erano dappertutto le traccie di quel temperamento nervoso, squisito, innamorato delle sensazioni eccezionali; in ogni angolo la rivelazione di quella esistenza aristocratica, raffinata; da per tutto le tracce di quello spirito medio, scettico, disdegnoso di poesia, incapace di grandi e di piccole azioni, arido, superbo, contento di sè, soddisfatto nella soddisfazione del proprio ed unico interesse.
Dopo poco il lume era spento: Mario Revertera dormiva nella sua camera, dove alitava il soffio del suo grazioso egoismo.
— Giulio, dammi la mia boccetta — disse Amalia.
Il marito, ritto presso il balcone, batteva sui vetri, con le unghie della mano bianca come quella di una