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194 | Cuore infermo |
— Avete fatto bene. Ora discenderò. Il duca è fuori di casa?
— Sì, eccellenza.
— Ha preso la carrozza?
— No, eccellenza.
— E non si sa neppure dov’è per mandargliela. Uscendo, non mi disse dove andava...
— Il signor duca è assente da stamane.
— Sicuramente — disse la padrona, dando una occhiata severa alla cameriera. — Vi è Giuseppe, il cameriere del duca?
— No, eccellenza. È uscito col signore.
— Benissimo. Se ritorna, avvisatemi.
— La signora rimane quassù? Il tempo è pessimo.
— Rimango — affermò Beatrice, con un’altra occhiata imperiosa.
Giovannina se ne andò, a capo basso. Beatrice sel sapeva. Due o tre fra i suoi servi erano scontenti di rimanere ancora a Sorrento e incaricavano la cameriera di qualche piccola rimostranza. Quella gente si annoiava nella vita solitaria; amava il pettegolezzo ozioso dell’anticamera di città. D’un tratto Sorrento era stata presa dalla tristezza dell’autunno. Alle prime pioggie di settembre erano stati abbattuti i piccoli stabilimenti di bagni; indi una ventina di giorni ancora estivi, non cocenti: un’estate poco convinta, indecisa. Dopo erano cadute le pioggie di ottobre, pioggie lunghe, insistenti, che si portano via la polvere, il caldo, i colori troppo forti, i profumi troppo acuti, le foglie troppo verdi. La siesta del pomeriggio era abbreviata, i tramonti diventavano più corti, più mesti. Si passava rapidamente il giorno, la serata invece diventava lunghissima. I villeggianti erano presi dalla nostalgia di Napoli, delle sue vie rumorose, dei suoi teatri assiepati. Sorrento s’im-