se ne era compiaciuta maggiormente, perchè ella stessa sentiva nel petto il contraccolpo di quel dolore. E per quanto questo nome ritornasse sovente fra loro, avvolgendosi poco a poco nelle curve morbide e allacciatrici delle sue lettere, pure l’impressione era vivissima. Non potevano obliarlo che per poco: quando essi cadevano in quel languore che è la stanchezza dell’amore esuberante, quando si abbandonavano volonterosi a quell’oblio che è l’egoismo seducente dell’amore, ad un tratto il ricordo di quel nome li faceva sobbalzare. Quando essi si gettavano alla cieca in que' dissensi, in quelle lotte di parole pungenti, in quelle battaglie feroci che esasperano e che sono solo la necessità triste dell’amore, quel nome più li inaspriva, li aizzava. Si ostinavano a fuggirlo, ma esso si ripresentava contro la loro volontà. A Sorrento tutto era peggiorato. La vicinanza materiale dava corpo, adesso, alla vicinanza morale. Adesso essi la sapevano poco lontana, la sentivano presente. Marcello non poteva dimenticarla; Lalla non poteva dimenticarla; unica differenza fra loro: Marcello cercava sottrarsi in tutti i modi a tale singolare tortura, esitava a profferire quel nome, schivava ogni discorso che vi si ravvicinasse; invece Lalla, avida ricercatrice di impressioni estreme, si lasciava sedurre da quella cattiva inclinazione, vi s’immergeva con un tormentoso piacere. Era lei la prima a pronunziare il nome di Beatrice, a condurre la conversazione su lei, a interrogare minutamente, con insistenza, con un ardore implacabile, Marcello, su sua moglie. La mattina ella scendeva nel parco, con la speranza di poterla incontrare. Beatrice, indifferente, inerte, li dominava. Si scordavano di dirsi che si amavano. A volte, dopo uno slancio di passione, si arrestavano, freddi, smorti, guardandosi negli occhi, con una vaga diffidenza. Un giorno che Lalla aveva chiesto