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182 | Cuore infermo |
— Dicono che la grotta della Sirena sia molto bella — disse ella vagamente, senza indirizzarsi a Marcello; — io dovrò andare a vederla.
— Andiamovi insieme, Lalla.
— ... Ma che è questa sirena?
— È uno scoglio che si erge nella grotta. Penetrandovi, non si vede nulla; ma quando gli occhi si sono assuefatti a quella oscurità, si vede sorgere e profilarsi la bianca figura di una sirena. È un’apparizione magica; si resta là silenziosi, incantati in quell’aspetto...
— Effetti di luce — disse Lalla.
— Appunto. Una illusione. La sirena non è che una stalagmite, uno scoglio, una pietra dura ed aspra.
— Ecco della poesia molto personale, Marcello — disse ella col suo risetto stridulo.
— Se fossi un poeta, te la dedicherei, Lalla.
— Io rifiuterei; odio i poeti che fanno i versi. Ma quella sirena m’interessa. Peccato che sia un’illusione! Il mondo ha bisogno di sirene. La fantasia dell’universo se ne muore per mancanza di sogni...
— Andiamo laggiù insieme, Lalla?
— Adesso?
— È notte, non si vedrebbe niente.
— Infatti, la sirena non si fa vedere nella notte. Essa scende nei regni azzurri ad amare. Ma quali sciocchezze diciamo! Siamo nebulosi, nordici questa sera. Le Loreley ci occupano troppo. Al sud, al sud, Marcello. L’altra notte, quando capitasti qui dal ballo, non mi dicesti niente. Raccontami. Era bello?
— Bello e stereotipo.
— Molte signore?
— Molte, per un ballo campagnuolo. Ne contarono ottanta.