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Parte quarta | 179 |
non parlava; una ruga le solcava la fronte; gli occhi parevano intorbidati, come se una tempesta si agitasse nella profondità del suo cervello; la bocca si stringeva tanto che scomparivano le labbra. Aveva morsicato tre volte la trina del suo fazzoletto, tirandone i fili coi dentini. Ora spezzava poco a poco, con un diletto visibile, i fiorellini, intagliati delicatamente, di un ventaglio di avorio.
— Sei ammalata, forse? — le domandò Marcello, inquieto.
— No.
— Nervosa semplicemente?
— No.
— Annoiata?
— No.
— Qualche cosa ti dà fastidio?
— Niente.
L’ultima risposta fischiò fra i denti stretti. Marcello scosse il capo. Ormai si abituava a quella variabilità continua, a quel mistero rinascente e contraddittorio che era il carattere di Lalla. Anzi quell’ansietà dell’ignoto che lo signoreggiava ogni volta che doveva vederla, aumentava il suo trasporto.
— Vuoi parlare o vuoi che stiamo zitti? — le domandò, come si fa ad un fanciullo ammalato.
— Io non voglio niente.
— Me ne vado allora?
— Vattene pure — disse lei, senza alzare il capo.
Egli, difatti, si alzò per andarsene. Ma non arrivò che alla porta del salotto.
— Voglio vedere se hai il coraggio di andartene — disse ella, con voce stridente, stringendo le mani sui bracciali della poltroncina, come se volesse conficcare le dita nel legno.