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Parte quarta | 173 |
— Saranno forse i miei garofani — rispose ella sottovoce.
— Hai dei garofani tu?
— Guarda, sono là, sul sedile. Ne ho anche sull’abito.
— Te li ha procurati il giardiniere?
— Ne abbiamo nel parco due aiuole. Le ho fatte spogliare.
Entravano in un villaggio, nelle strade brune, fra le case di due soli piani. Ivi la luna non penetrava. Ci era buio, triste, la medesima impressione di un treno che corre nell’aperta campagna e poi va a nascondersi in un tunnel nero e le conversazioni si sospendono bruscamente, e si chiudono gli occhi, per illudersi di essere ancora nella luce. Beatrice, uscendo di là, ebbe un sospiro di sollievo. Aveva cavate di sotto la mantiglia le mani calzate di lunghi guanti trasparenti in seta bianca, e le teneva abbandonate in grembo, quasi desiderosa ancora di provare le morbide impressioni di prima; e da capo, lentamente, il raggio lunare, quieto conquistatore, s’impadronì di lei.
— Tu ami i profumi, Beatrice? — chiese d’un tratto Marcello.
— Io no.
— Era naturale — disse lui con una singolare inflessione nella voce.
— Perchè?
— Per nulla.
Beatrice gli rivolse un’occhiata, che era ancora un’interrogazione. A che un mistero in quei chiarissimi albori? Quella natura aperta, senza angoli di oscurità, senza ombre, svelata nei suoi più intimi recessi, non poteva permettere all’uomo di chiudersi nel bruno segreto della sua anima. Ma Marcello si ostinava a fissare