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170 | Cuore infermo |
Ella dette uno sguardo dattorno, ravviò le pieghe del suo mantello bianco e rispose:
— No; non fa fresco per nulla.
La carrozza partì al piccolo trotto per la via principale di Castellammare. Le case erano buie. Solo i saloni degli alberghi erano ancora illuminati, aspettando qualche dama in ritardo dal ballo. Ma presto la carrozza cessò di rotolare sul selciato della città e, rallentando il suo trotto, prese ad ascendere quel nastro sinuoso che è la via per Sorrento. Alle tre del mattino, in quella notte di settembre, sembrava giorno. Certo non un giorno fulgido, dal colorito di sole, ma un giorno biancastro, settentrionale, molliccio e placido. Nel plenilunio tutto diventava candido; pareva che larghe falde di neve, chete, tranquille, si fossero posate dalle colline, pei villaggi, al mare. La strada polverosa, giallastra, s’imbiancava anch’essa.
— Sei stanca? — domandò Marcello, accomodandosi meglio nel suo cantuccio.
— Un poco; ci vorrà tempo ad arrivare?
— Non possiamo metterci meno di due ore.
— Ah! — fece lei, e ricadde nel silenzio.
Egli cavò di tasca il suo portasigari ed accese una delle sue sigarette. Fumava molto, da qualche tempo. Beatrice rimaneva nel suo angolo, non tenendosi diritta come al solito, ma abbandonandosi un poco alla spalliera. Nel suo abito di foulard bianco-appannato, a pisellini rossi, ornato di merletti bianchi dallo strascico a sbuffi, qua e là sostenuti da gruppi di garofanetti bianchi a puntini rossi, era stata adorabile, non era rimasta quieta un momentino sulla sua seggiola. Aveva ballato molto, molto. Marcello, no; due o tre volte lo aveva veduto girare per le sale, ozioso, incapace di prendere interesse alle quadriglie o alle tavole da giuoco, con