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168 | Cuore infermo |
due dame se adesso, senza nessuna ragione, accordassi ad una terza quello che ad esse ho negato.
— Ma tu non conosci la Trevisani e la Mendozza invece conosci la D’Aragona...
— Ebbi l’onore di parlarle solamente al ballo in casa Filomarino. Non è un titolo sufficiente.
— È sofferente... è molto pia... la carità cristiana...
— Me ne duole molto: ma le convenienze non permettono.
— E se io te ne pregassi? — domandò egli, irritato da quella opposizione fredda e calcolata.
— Io credo che tu non mi pregheresti di far ciò, Marcello — rispose ella con voce grave, chinando gli occhi, quasi per non misurare la portata delle sue parole.
Un fiotto di sangue salì al volto di Marcello. Egli aveva onta di avere ubbidito al folle capriccio di Lalla. Malgrado il suo odio per Beatrice, egli comprendeva che ella aveva ragione; comprendeva che ella sola rimaneva dignitosa e severa dopo l’offesa ch’egli le faceva. Era turbato, inquieto con sè stesso. Nella passione che lo signoreggiava, nella sicurezza della indifferenza di Beatrice, aveva creduto poter tutto osare. Ma vi ha un limite che l’orgoglio non permette di varcare. Comprendeva di averlo oltrepassato, recando oltraggio non alla moglie amorosa, non alla compagna affettuosa, ma alla donna che portava il suo nome. Era umiliato dal contegno di Beatrice; avrebbe voluto dirle una frase che lo giustificasse. La guardò per animarsi a tal passo; ma gli apparve, come sempre, per nulla mutata, figura immobile, su cui non si traduceva alcuna impressione. Gli apparve come una figura ieratica, la custode del suo onore. Non seppe dirle nulla.