Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
Parte quarta | 167 |
— E chi allora?
— La contessa D’Aragona.
Le nuvolette ardenti del tramonto gittavano un riflesso roseo sul volto di Beatrice.
— La contessa D’Aragona vuol venire a pregare nella chiesa dei Sangiorgio? — chiese ella lentamente.
— Nella nostra chiesa.
— La domenica, all’ora in cui io vi sono?
— Naturalmente... ma non credo che sarà molto assidua. Non istà sempre bene...
Egli chinò gli occhi. Aveva cominciato arditamente il dialogo; ma la sua falsa esaltazione cadeva poco a poco.
— ... Che ne dici tu, Beatrice? — chiese, dopo avere esitato.
Ella non gli rispose subito. Pensava. Ma nessuna ombra del suo pensiero le appariva sulla fronte.
— È un consiglio che mi chiedi, Marcello, o un consenso? — disse lei, fissandolo bene negli occhi.
— La distinzione è sottile! — rispose lui con voce ironica. — L’uno e l’altro se ti piace.
— Ebbene, sono di parere che converrà dire di no alla contessa D’Aragona. Per privilegio antico, a quanto ho letto nelle carte di famiglia, solo i Sangiorgio, quando sono qui, possono recarsi in quella chiesa ad assistere alle sacre funzioni. Sono così pochi i privilegi che ci rimangono, che volerli abbandonare anche quelli, sarebbe un derogare...
— Comprendo. Ma nella chiesa non c’entrerebbe nè una borghese, nè una popolana. I D’Aragona ci valgono, Beatrice; sono anche imparentati con noi.
— Benissimo. Vi è altro, però; la Trevisani mi fece chiedere lo stesso favore e fui costretta a negarglielo. Così pure alla contessa Mendozza. Offenderei queste