Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
162 | Cuore infermo |
— Lasciami dire. Possiamo, eccellentissima signora duchessa, dar fiato alle trombe e leggere lo editto?
— Ti ascolto.
— Ebbene, così alla lesta: ti vogliamo sabato sera allo Stabia.
— Che si fa?
— Si balla, come è naturale; ti vogliamo assolutamente per questa volta.
— Ma se non sono mai andata laggiù...
— Ragione di più per venirci. È un ballo di beneficenza per i poveri.
— Potrei mandare del danaro senza venire...
— Carità poco evangelica, mia cara — aggiunse con gravità Fanny — massima poco cristiana. Bisogna divertirsi e beneficare. Poi avremo gli ufficiali della corvetta francese che vengono tutti. Dobbiamo abbagliarli, incantarli; tutte sotto le armi, e che armi! Se tu manchi, siamo perdute...
— Ne parlerò a Marcello.
— Gliene abbiamo già parlato, io e l’Amalia. Egli viene di sicuro. E tu, cara, non rifiutare più.
— Bene, bene, vi prometto di venire... mi annoia soltanto il ritorno a Sorrento ad un’ora così tarda.
— Anzi, sarà bellissimo, in carrozza, con la luna — disse Amalia, con la sua aria di bambina poetica. — Sabato ci sarà la luna.
— Figurarsi, Beatrice mia! Senti che ti dice Amalia; avrai anche la luna sabato. Per poco che Marcello sia poeta, ti farà un’ode lunga da Castellammare a Sorrento.
— Per fortuna che Marcello non fa versi. Avrete molti fiori sui vostri abiti, voi altre?
— Ne saremo coperte. Io avrò dei grossi gruppi di papaveri; stan bene con la mia tinta bruna.