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160 Cuore infermo

— Vuoi che te la dica io, Beatrice, la causa della malinconia di Amalia? Io la so. È innamorata.

— Innamorata?

— Non vedi come impallidisce? Amore, Beatrice mia. Cose da romanzo: immagina che è un amore non corrisposto...

— Non corrisposto? — domandò Beatrice, corrugando lievemente le sopracciglia.

Amalia chinò il capo, con un gesto drammatico, senza rispondere.

— Sicuro, non corrisposto: secondo me, l’eroe di Amalia non esiste.

— Ah! — fece soltanto la Sangiorgio.

— Così è — rispose Amalia: — sono innamorata di un ideale. Non esiste sulla terra...

— È in cielo e Amalia vuole andare a raggiungerlo. Bah! tutti questi sono scherzi; non vi è una parola di vero. Dico bene, Amalia?

— Dici benissimo.

— Nè io aveva creduto a tutte due — riprese Beatrice, scherzando anche lei. — E i signori mariti dove sono?

— Sandro mio e Giulio Cantelmo sono rimasti Castellammare, nella nostra sala da bigliardo, a giuocare.

— Con questo caldo?

— Che ti pare? Se si tratta di accompagnarci, di venire a fare una visita con noi, li vedi lì illanguiditi, morenti, incapaci di muovere un passo; ma quando si tratta di dar dei grandi colpi di stecca, contro le palle d’avorio, sopra un tappeto verde, sono pronti. Lo chiamano un esercizio refrigerante: la grazia del refrigerio!

— E Marcello? — domandò Amalia.

— Sta bene — rispose brevemente Beatrice.

— Niente altro?