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152 Cuore infermo


Mario Revertera, a Viareggio, dietro la marchesa di Monsardo.

L’egoismo amabile della duchessa di Sangiorgio si espandeva piacevolmente in quella solitudine. Ella si lasciava andare un poco a fare tutto quello che più le garbava. Cose insolite, no. Bizzarrie, capricci, niente. Ma i lievi sacrifizi che ella offriva al pubblico, anche quelli erano tolti di mezzo. Poteva vivere quietamente, senza che alcuno venisse a disturbarla. Ella scuoteva le sue spalle, come se fossero state liberate da un peso, e si godeva l’indipendenza. Tutto cominciava e finiva in lei, ora. E lo sa Iddio se questo era stato sempre il suo sogno!

Sono stupende le albe di Sorrento; ma ella non si levava prima del sole, per vedere tale spettacolo, come qualche anima poetica sarebbe capace di fare. Non suonava per la sua cameriera che verso le nove. Si faceva pettinare e vestire molto lentamente, scambiando qualche vaga parola con la Giovannina. Quando l’acconciatura era completa, avveniva per lo più il seguente dialogo:

— Giovannina, il duca ha lasciato qualche ordine?

— No, eccellenza.

— Benissimo: vuoi dire che rimane nella decisione di ieri sera. Direte allora al cuoco di preparare per me sola; il duca non viene per la colazione.

Ovvero:

— Signora, il padrone è uscito di buon mattino coi signori Mormille e Ruffo. Ha fatto dire pel suo cameriere, che non sa se ritorna, che ad ogni modo non lo si attenda.

— Va bene; date gli ordini, Giovannina.

E la duchessa passava nel suo salotto e si metteva a