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Parte terza | 143 |
Mario Revertera passeggiava, irrequietissimo, nel salotto. Egli, l’ironico spettatore dei drammi umani, nel risveglio della sua coscienza, diventava attore di un dramma. Era trascinato da una corrente irresistibile, dove si annegava il suo freddo sarcasmo. Beatrice col capo appoggiato alla mano, pensava, si raccoglieva, forse. Non chiedeva a sè stessa se era giusto di parlare, di parlare per la prima e l’ultima volta a suo padre, del passato. Sapeva di essere nella giustizia. Cercava l’equità delle parole.
— Potete udirmi a vostra volta, padre mio?
— Sono ai tuoi ordini.
— Grazie. Sapete voi di quale malattia è morta mia madre, donna Luisa Revertera?
— ... Io... io non so bene... il dolore di quella morte improvvisa... — rispose egli, balbettando, impallidendo.
— Io lo so. Ella è morta di una malattia di cuore. Nessuno sapeva che l’avesse, ella non ne disse niente a nessuno. Mancò accanto a lei la persona amante che indovina, che presente il male; e la povera donna lo portava con sè, in ogni palpito del suo cuore infermo. Non v’irritate, padre mio. Abbiate pazienza; anche io ne ho avuta e molta, con chi non mi ha risparmiato la verità. Lasciate che io vi finisca la piccola storia di mamma mia. Ebbene, quel povero cuore infermo, che batteva così irregolarmente, che si gonfiava di sangue o rimaneva immobile per momenti, quel cuore infermo amava fervidamente, con tutte le sue forze, con una devozione cieca ed ostinata. Noi due non ne sappiamo nulla, padre mio; ma l’amore esiste e mia madre lo sapeva. Lo sconfinato suo amore non fu inteso, non fu ricambiato, o per poco: ell’era timida, sommessa e poco