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134 Cuore infermo

sotto la palma, vellicandola leggermente; quei capellucci erano un po’ ispidi all’occhio, ma fini e morbidi al tatto. Sotto la punta delle dita, egli sentiva l’arteria gonfia, battere precipitosamente, come se il sangue gorgogliasse contro le pareti per uscirne fuori. L’urto nervoso doveva essere arrivato al suo massimo grado. Pure egli sentì un piacere celato ad avere sotto le dita quel palpito di una vitalità moltiplicata, esagerata; poi si rimproverò quell’egoistico piacere.

— Non vi do fastidio, Lalla? — le domandò, provando il bisogno di chiamarla per nome, mettendo così tra loro un’altra intimità.

Ella fece un cenno di diniego. Non trovava ancora la forza di pronunziare una parola; ma ogni tanto una piccola scossa, oppure un brivido, la faceva tremare da capo a piedi. Marcello sentiva comunicarsi quel brivido dalla mano che poggiava sulla fronte di lei e passargli nel braccio e invaderlo tutto. Lei non lo vedeva, aveva chiusi gli occhi: egli nascose il volto nel fazzolettino, inebbriandosi di quel profumo: e la guardò come un fanciullo che tema di essere colto in flagranza. Lalla lo fissava coi suoi grandi occhi spalancati.

— Perdonatemi — mormorò egli; — voi avete molte cose da perdonarmi.

Lei non fece un cenno, nessuna nuova espressione si dipinse sul suo viso.

— Ditemi una parola sola, se potete, Lalla; fatemi sentire la vostra voce... Non potete? È vero che non potete? Non so, ma ora il vostro silenzio mi fa male, mi addolora. Pare che non abbiate più parole per me, nè buone nè cattive.

Lalla continuava a guardarlo freddamente. Era divenuta pallida, di un pallore uguale, quasi perlaceo; sembravano più neri, più profondi gli occhi; le labbra si